Il Partito democratico siciliano, pur essendo stato mollato sull’altare dal Movimento s Stelle, decide di contendere ai suddetti Cinque Stelle il primato del giustizialismo. Una sfida titanica.
Riassunto delle puntate precedenti: il patto
I dem siciliani avevano stretto un’alleanza con il Movimento 5 Stelle in vista delle elezioni reginali. Per la prima volta, con grande entusiasmo, si erano svolte primarie di coalizione giallorossa. Le aveva vinte Caterina Chinnici, eurodeputata, figlia di vittima di Cosa nostra (il giudice Rocco, ucciso nel 1983), magistrato, già assessore regionale della giunta di centrodestra di Raffaele Lombardo, sostenuta dal Pd.
Silenzi e diktat
Nel frattempo, però, è successo di tutto., I 5 Stelle hanno dato la stura al passaggio parlamentare che ha portato alla fine del governo Draghi. Il Pd di Letta dopo tre anni di indefesso corteggiamento dei suddetti 5 Stelle e di ambizioni di campo largo ha capito che era meglio rinunciarci. Intanto in Sicilia Nello Musumeci si è dimesso e si sono fissate le regionali insieme alle Politiche il 25 settembre. A quel punto, l’alleanza sicula dell’auto-proclamato “campo progressista” ha cominciato a scricchiolare. Caterina Chinnici non si è fatta sentire molto in queste settimane. Il suo silenzio , abbastanza atipico per un candidato governatore, è stato stigmatizzato dall’alleato della sinistra, Claudio Fava, e anche dalla testata più attenta alla causa elettorale della sinistra, Repubblica Palermo. Chinnici ha spiegato le ragioni del suo low profile in un intervento sul sopra citato giornale. L’unica posizione intransigente che ha assunto è stata quella di dire no alle candidature di esponenti politici con pendenze giudiziarie. Posizione criticata da Fava, con parole molto nette. (evocando una “deriva giustizialista”
Il “tradimento”
Sì, la posizione è questa: no a candidare chi è sotto processo. Non chi ha riportato una condanna definitiva, nemmeno una provvisoria. No, basta il processo. Che magari poi si chiuderà con l’assoluzione poco importa. “Impresentabili” comunque. Una linea di giustizialismo intransigente che ha agitato le acque nel Pd, che aveva alcuni esponenti di prima linea, storici dirigenti. Incluso un ex segretario regionale, Giuseppe Lupo, che alle primarie ha sostenuto Chinnici e che solo due mesi fa il Pd ha candidato al consiglio comunale di Palermo beneficiando delle sue abbondanti preferenze. Mentre il partito si logorava, i 5 Stelle approfittavano del casus belli per piantare gli alleati e rompere il patto di coalizione. Lo ha annunciato Giuseppe Conte con un post last minute su Facebook che evocava appunto i famosi impresentabili (incensurati): ciao ciao Pd. “Alto tradimento”, hanno commentato i dem. Che si sono ritrovati all’ultimo momento (domani si presentano le liste) senza coalizione e con un avversario in più, il candidato grillino Nunzio Di Paola. con cui avevano trattato fino a tre o quattro giorni prima.
“Impresentabili” adieu
Si è parlato a quel punto di un possibile ritiro della Chinnici. Sarebbe stato un bel guaio per il Pd che nel simbolo, già depositato, aveva scritto il suo nome. Alla fine, la candidata, pregata dal partito, è rimasta in corsa. E invece sono usciti di scena i presunti “impresentabili”, innocenti per il diritto. Il dirigente catanese Angelo Villari si è candidato con Cateno De Luca, ex sindaco di Messina che corre fuori dai poli. Lupo ha detto che si fa da parte ma che sosterrà ugualmente il suo partito. Si va “oltre la cultura giustizialista”, commenta il giurista Guido Corso. Davide Faraone, Italia viva, candidato per il Terzo Polo in Sicilia, commenta: ” Quello che sta accadendo in Sicilia non è un fatto meramente locale, è la metafora di quello che è il destino ridicolo di un partito che a forza di inseguire i cinquestelle si è lasciato contagiare della peggior politica dei manettari.” E ancora: “E fa ancor più male che, Lupo e Villari, vittime della gogna mediatica, umiliati e additati come mostri, non abbiano ricevuto una parola di solidarietà e di vicinanza dai vertici del Pd”.