Eccolo lo Stato. Lo Stato che può rovinarti. E poco importa che tu abbia persino denunciato i mafiosi, in una terra complicata, dove la paura o l’omertà sconsigliano tanti imprenditori di fare una scelta giusta come questa. Però, non basta. Perché poi spunta, tra le altre cose, che c’è un cugino di tua madre, in Sicilia si dice “parente di parente ca un ti veni niente”, che ha dei trascorsi di una trentina d’anni fa. E allora arriva l’interdittiva antimafia, quello strumento che può sfasciare la vita a chi lavora tanto quanto una condanna penale, senza l’incomodo delle garanzie che precedono o dovrebbero precedere un condanna.
La storia arriva da Caltanissetta e la racconta su Livesicilia Andrea Cannizzaro. Che entra nel dettaglio delle ragioni poste alla base degli atti che rischiavano di mandare in malora un’impresa. Ed è una storia che merita di essere letta. E che per fortuna ha avuto un lieto fine, diciamo, per l’imprenditore, a cui il Tar ha dato ragione, annullando quello e altri atti. I fatti contestati dalla prefettura “per il Tar non sono bastati a giustificare l’interdittiva. In alcuni casi, infatti, non sono più attuali mentre in altri non provano il condizionamento dell’impresa”.