L’altro ieri è stato il trentesimo anniversario della strage dei Georgofili. Trent’anni fa con le bombe in continente si chiudeva l’orrenda stagione della mafia stragista. Cosa nostra certo non scompariva. Ma mutava strategia. Nel frattempo, però, lo Stato infliggeva alla mafia siciliana innumerevoli colpi, ridimensionandola. Colpi che oggi non si possono dimenticare. Ben consci che il fenomeno della criminalità organizzata mafiosa in Sicilia non è debellato. Ma non è quel mostro dalle sembianze quasi onnipotenti di alcuni decenni fa. Molto è stato fatto nel cammino di consapevolezza di un popolo, altro resta da fare.
Il mese scorso il tribunale di Trapani ha condannato a 12 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa l’ex deputato regionale del Pd Paolo Ruggirello. Una condanna ovviamente non definitiva, non sarà superfluo ricordarlo, tanto più qui. Ma, pur rispettando la presunzione di innocenza fino a sentenza passata in giudicato, quel processo mette in luce scenari inquietanti, in quella provincia di Trapani, quella in cui per anni fece il bello e il cattivo tempo il forzista Antonio D’Alì, condannato in via definitiva a sei anni per concorso esterno in mafia. Una vicenda, la sua, su cui forse la politica siciliana ha glissato con troppa fretta.
Claudio Fava, nella sua rubrica sul mensile S, ha scritto, collegando la vicenda di Ruggirello al recente scandalo della cocaina acquistata da un collaboratore della presidenza dell’Assemblea regionale: “Applausi vani quanto unanimi nella condanna di chi è sorpreso a sniffare, ma silenzio di tomba alla condanna a 12 anni di carcere a un ex deputato che si sarebbe reso responsabile di concorso esterno alle cosche: eccolo, il festival dello sdegno inutile”.
Questo è un blog garantista. E qui ci si ricorda di quando Raffaele Lombardo venne condannato in primo grado per concorso esterno in mafia salvo poi essere assolto in appello e in via definitiva in Cassazione. Sarà bene pertanto attendere prima di esprimere un giudizio definitivo. Ma certo, se le accuse a Ruggirello invece dovessero reggere fino alla fine, si tratterebbe del secondo peso massimo condannato per concorso esterno nella provincia di Trapani, quella di Messina Denaro e della sua lunghissima latitanza en plein air, in pochi anni. Quel che emerge è che gli incroci pericolosi tra mafia e politica non sono finiti. Lo stesso politico ha ammesso di avere incontrato certi personaggi in campagna elettorale (pochi anni fa), negando però di avere stretto accordi.
Scenari da anni Sessanta o Settanta del secolo scorso. Da allora troppa acqua è passata sotto i ponti per avere una qualche forma di indulgenza a questo genere di – nella migliore delle ipotesi – disattenzioni.
Ma di questo poco si parla. Magari si parla di Cuffaro, che non fu condannato per concorso esterno ma per favoreggiamento aggravato, che ha scontato la sua pena ed è stato anche riabilitato. E’ più facile, ed è un tema comodo, magari per una chiacchierata con qualche magistrato in pensione con tanto tempo libero. Nel frattempo, però, senza scomodarsi a guardare a fatti di vent’anni fa e marchiare persone che da quei fatti a oggi hanno vissuto vicende che per il diritto e la civiltà non possono essere ignorate (vedi appunto espiazione pena e riabilitazione, tanto per dire), nei territori chi cerca il consenso sembra che continui a incontrare chi comanda la cosca di turno. Qualcosa del genere parve emergere anche un anno fa a Palermo (il dubitativo è d’uopo anche in questo caso).
Altro che discettare o rampognare su chi e come possa o non possa partecipare a questa o quella celebrazione. Anche se ovviamente i liberi docenti della materia ci spiegheranno che è tutto un’unica cosa. Sommessamente, ho qualche dubbio al riguardo. E penso che sui modi di ricerca del consenso elettorale in Sicilia, e sull’attrazione fatale di pezzi di politica per la mafia, si dovrebbe parlare di più senza ricorrere a comode scorciatoie e semplificazioni. Meno “sdegno inutile” e più attenzione all’arrosto piuttosto che al fumo. Perché il problema c’è, eccome.